Antonio Canova il Nuovo Fidia è il protagonista di questo secondo appuntamento con l’arte.
Ma ciao! Lo so, lo so, vi sono mancata, ma non temete: rieccomi qui più in forma che mai per il secondo “appuntamento con l’arte”. Dopo aver parlato di Magritte ero già in crisi: nulla mi sembrava alla sua altezza. Ho già detto che si tratta del mio artista preferito. Poi, ascoltando la mia amata musica indie mi sono imbattuta in un gruppo che mi ha fatto pensare: “Perché no?” Quindi eccoci qui: oggi parleremo di Antonio Canova, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura e perciò soprannominato “Il nuovo Fidia”. Nel Caso di Canova si può dire che l’arte era sicuramente nel suo DNA, infatti suo padre era uno scalpellino. Dopo aver studiato a Venezia si trasferisce a Roma dove rimarrà per il resto della sua vita, nonostante suoi numerosi viaggi. Ora: fermiamoci un attimo e puntualizziamo qualcosa di più sulla sua vita.
Antonio Canova nacque il 1 Novembre 1757 a Possagno da una famiglia di scalpellini. A soli quattro anni perdette il padre, la madre si risposò e il piccolo Antonio venne affidato alle cure del nonno paterno, anch’egli tagliapietre, noto nel suo paese per gli interventi scultorei fatti un alcune chiese e ville. Egli fu un cattivo amministratore del proprio patrimonio economico e un uomo burbero e stravagante che procurò molte mortificazioni all’animo del giovane affidatogli. Egli si dimostrò, però, un valente insegnante per il nipote infatti ne intuì il talento artistico e lo mise a scolpire la pietra nella villa di Fallier, dove anch’egli stava lavorando. Canova qui si guadagnò la benevolenza del proprietario della villa che si occupò della sua formazione professionale presso la bottega del Bernardi. A sedici anni si trasferì nella bottega del Torretti a Venezia, città ricca culturalmente e artisticamente. Frequentò qui i corsi serali dell’Accademia di Nudo. Successivamente poté lavorare solo metà giornata in bottega dedicando l’altra metà allo studio del materiale della galleria Ca’ Farsetti dove poteva ammirare calchi in gesso di statue antiche e moderne. Questa esperienza segnò la sua vita, infatti maturò un primo approccio con la cultura classica e, oltre ad apprendere i segreti per scolpire il marmo, imparò anche come gestire economicamente e tecnicamente una bottega. Ciò gli fu molto utile quando ne aprì una propria. I primi lavori veneziani furono due “Canestri di frutta”, una “Euridice” e un “Orfeo” in pietra di Costozza. Canova terminò le sculture due anni dopo la commissione ed, esposte alla fiera dell’arte annuale veneziana, riscossero successo, favorendo così la sua ascesa nel mondo dell’arte.
Nel 1777 aprì un nuovo studio e realizzò il gruppo scultoreo “Dedalo e Icaro”. Il guadagno ottenuto da questa scultura favorì la realizzazione del suo più grande desiderio: trasferirsi a Roma. Qui venne accolto dell’ambasciatore veneto e venne a contatto con il Museo di Roma e con le molte collezioni della città, tra cui i musei Vaticani dove analizzò l’ “Apollo del Belvedere”. A Roma fece amicizia con gli artisti veneti qui insediatosi e con vari artisti stranieri. Da vero neoclassico fu un assertore dell’arte greca, da lui ritenuta l’unica ad aver raggiunto la purezza e la virtù.
Durante il suo periodo romano non mancarono le rivalità: fu infatti tacciato di superbia per aver denigrato delle opere antiche, anche se egli preferiva produrre opere originali ispirandosi ai principi che regolavano l’arte greca. In visita a Napoli ebbe l’occasione di visitare la collezione Farnese e la cappella di Sansevero, si dimostrò anche interessato allo studio della cultura classica visitando i resti archeologici di Pompei. Al ritorno a Roma fu invitato a rimanere nella città. Chiuse, allora, la sua bottega a Venezia e concluse i suoi ultimi lavori che lo legavano a quella città.
A Roma realizzò “L’Apollo che s’incorona” e diede avvio all’opera che oggi è definita il suo manifesto artistico “Teseo vincente sul Minotauro”. L’unica delusione per Antonio fu in campo amoroso: venne, infatti, rifiutato dalla donna di cui si era invaghito. Questo rifiuto gli favorì lavorare intensamente al monumento funerario di Clemente XIV, sepolcro che lo consacrò massimo scultore del suo secolo.
Per ricercare riposo soggiornò a Napoli per un mese dove gli fu commissionato il gruppo “Amore e Psiche”. Contemporaneamente gli fu commissionato un monumento funerario per Clemente XIII, l’esecuzione durò quattro anni e, durante l’inaugurazione si vestì da frate mendicante per poter meglio ascoltare i commenti, Canova poté facilmente appurare i consensi suscitati dall’opera. Il successo di Canova fu improvviso anche a Parigi, conseguì infatti numerose commissioni importanti: eseguì due statue di amorini e una Psiche fanciulla. Nel 1793 concluse l’ “Amore e Psiche” che fu universalmente apprezzata.
L’intesa attività scultorea aveva affiaccato la salute del Canova che, per ristorare le proprie energie fece ritorno al paese Natio. Qui gli fu riservata un’accoglienza degna di un eroe. I riflessi della sua arte arrivarono fino in Russia dove fu invitato da Caterina II alla sua corte. Canova rifiutò ma eseguì una seconda versione dell’ “Amore e Psiche”. Date le avversità politiche presenti in Italia in quel periodo, Canova fu spinto a partire per l’Austria dove fu accolto da Francesco II D’Asburgo che si offrì volontario per restituirgli la pensione vitalizia toltagli da Napoleone.
Canova rifiutò tale offerta ma accettò di realizzare il deposito funebre per Maria Cristina d’Austria che venne completato nel 1805. Ormai conosciuto in tutta Europa venne richiesto in diverse corti, anche Napoleone volle un ritratto con la sua firma. Canova non voleva inizialmente porsi a servizio del carnefice della Repubblica Veneta, ma partì ugualmente per Parigi. La prima opera eseguita in Francia fu “Marte Pacificatore”, un ritratto dello stesso Napoleone che lo raffigurava nudo. Per tale motivo, temendo di essere giudicato dai parigini ordinò di nascondere l’opera realizzata dal Canova. Antonio, deluso dal destino della sua scultura e dalla continua importazione di opere dall’Italia, decise di ritornare in Italia.
Roma accolse sempre calorosamente il suo artista che acquistò sempre maggiore prestigio soprattutto con la realizzazione di due opere: Il monumento equestre commissionato da Giuseppe Bonaparte, per il fratello, e il ritratto di Paolina Bonaparte Borghese, nelle sembianze di una Venere Vincitrice. In essa la sorella di Napoleone è raffigurata adagiata su un divano con un virtuosismo tale da far assumere alla donna dignità divina. Dopo aver assistito all’occupazione di Roma, soggiornò a Parigi dove mostrò il modello in creta della statua commissionatagli dal generale Duroc. In Francia ottenne notevoli benefici per l’accademia di San Luca e poi passò per Firenze dove intrattenne diverse relazioni amorose che non portarono a nulla. Risale a questo periodo il gruppo scultoreo delle Tre Grazie commissionatogli dalla prima moglie di Napoleone.
Venne ancora incaricato di recarsi a Parigi per recuperare le opere trafugate dall’Italia. Non con molta facilità riuscì a recuperarla e, tornato a Roma, venne accolto calorosamente dal Pontefice. Cominciò la realizzazione di un tempio a pianta circolare con un pronao di colonne doriche, nella sua città natale, ma non assistette mai al suo completamento. La sua realizzazione fu infatti conclusa dieci anni dopo la sua morte. Morì il 13 ottobre 1822 a Venezia. Gli furono offerti due funerali: uno nella città natia e uno a Roma. Il suo corpo è oggi conservato nel suo tempio.
La gestazione dell’opera di Canova poteva essere suddivisa in due parti principali: quella iniziale dell’ideazione, che comprendeva dal momento dell’abbozzo a matita, su carta, seguito dalla realizzazione di un prototipo di argilla con l’ausilio di un’asta di ferro, fino a giungere alla sbozzatura del marmo, preceduta dalla fase della tecnica della “Forma Persa”, consistente nella creazione di una “matrice” da distruggere nella fase successiva. La seconda fase è quella finale, detta “dell’ultima mano” in quanto Canova eliminava le imperfezioni. In quest’ultima fase veniva anche solitamente distesa una patina sulla scultura, così da dare alla statua una parvenza vitale.
Quello che ha caratterizzato tutta l’esistenza di Canova è stato sicuramente il riconoscimento ottenuto quando era ancora in vita, la sua arte fu apprezzata durante il romanticismo e scemò durante il novecento, quando, fu ritenuta imitazione del periodo Classico. Non mancarono però le aspre stroncature, infatti, fu accusato di aver interpretato in maniera sbagliata gli stilemi classici e di aver tradito l’animo neoclassico.
Siamo giunti alla conclusione del nostro viaggio nel neoclassicismo Canoviano. Per concludere vi informo di una mostra riguardante il nostro artista: essa si terrà nel palazzo Braschi, a Roma, fino al 15 marzo 2020. La mostra ci accompagnerà in un percorso diviso in tredici sezioni, composto da circa 170 opere. Oltre alla relazione dell’artista con la città ospitante, la mostra indaga sul rapporto di Canova con i letterari e con la politica. A chiudere la mostra è “ La danzatrice con le mani sui fianchi” che, riflessa in diversi specchi, sembra prendere vita.
Io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo “Appuntamento con l’arte”.
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Sono Arianna Venturino creatrice del blog onlybookslover.it
Promuovo autori e realizzo grafiche editoriali.