Stella Mazzone ci parla di: LA ZATTERA DELLA MEDUSA nel suo nuovo articolo sulle leggende gotiche.
Bentornati alla rubrica Appuntamento con l’Arte, anche oggi andiamo ad analizzare una singola, strepitosa, opera. Si tratta del dipinto ad olio su tela risalente al periodo del Romanticismo.
Il dipinto “la zattera della medusa” rappresenta un momento degli avvenimenti successivi al naufragio della fregata francese Méduse, rappresenta il momento in cui, dopo tredici giorni alla deriva, i quindici sopravvissuti scorgono una nave, la Argus, giungere dall’orizzonte. Le dimensioni del dipinto furono scelte in modo che la maggior parte delle figure fossero in scala reale, mentre quelle in primissimo piano fossero il doppio della loro grandezza naturale, dando quindi il senso di spinta verso l’esterno e verso lo spettatore. La zattera è popolata dai sopravvissuti al tragico incidente. Un vecchio in primo piano regge sulle ginocchia le spoglie del figlio deceduto, un altro irrompe in lacrime di frustrazione e sgomento. Un ammasso di corpi occupa la parte inferiore del dipinto, in attesa di essere trasportati via dalla corrente. Gli uomini al centro, invece, hanno appena scorto la Argus e uno di loro, si erge su una botte vuota, sventolando freneticamente il suo fazzoletto nel tentativo di attirare l’attenzione della nave.
Si tratta di un dipinto a Olio su Tela di Theodore Gericault. Scrupoloso e attento ai dettagli, l’artista si sottopose ad un intenso periodo di studio sul corpo umano, anche frequentando un obitorio per osservare attentamente il tono muscolare dei defunti, e sulla luce, producendo moltissimi disegni preparatori, intervistando due dei sopravvissuti e costruendo un modellino del naufragio. La zattera della Medusa, nelle sue scelte formali (la teatralità e l’intensa emotività della scena) e di contenuto (l’episodio vicino ai contemporanei dell’autore) rappresenta uno spartiacque e un punto di rottura con l’allora preponderante scuola neoclassica, tesa al perseguimento dell’ideale di emotività contenuta e catalizzata dall’arte greca, e un’icona del Romanticismo. L’opera ancora oggi è in buono stato di conservazione. Tuttavia, a causa della sperimentazione dell’autore con il bitume, una sostanza che decade rapidamente diventando una melassa nera e creando una superficie lucida e grinzosa che non può essere rinnovata o restaurata, i dettagli nelle aree più grandi dell’opera sono difficilmente individuabili e sono andati persi nel tempo. La composizione pittorica del quadro è costruita su due strutture piramidali. Il perimetro della prima e più larga piramide, a sinistra, è costituito dalla base stessa della zattera, mentre la seconda, di misura minore, si sviluppa dal gruppo di sagome morte in primo piano, che formano anche la base da cui emergono i sopravvissuti, intenti a stagliarsi il più alto possibile per richiamare la nave, convogliano verso il picco emotivo costituito dalla figura centrale che sventola il panno. L’attenzione dell’osservatore è dapprima catturata dal centro della tela, per poi seguire il flusso dei corpi dei sopravvissuti, inquadrati di schiena e tendenti verso destra. Altre due linee diagonali furono usate per aumentare la tensione drammatica. Una, infatti, segue l’albero maestro e i tiranti, spostando l’attenzione dell’osservatore verso le minacciose onde della tempesta, l’altra, composta dai corpi dei naufraghi ancora vivi, si protrae verso la silhouette della Argus. Nel complesso, il dipinto è dominato da una tonalità scura e tetra, affidata all’uso di pigmenti tendenti al marrone, che secondo l’autore erano efficaci nel suggerire il sentimento di dolore e tragedia. All’orizzonte la Argus, la nave che trarrà in salvo i superstiti, è illuminata da una luce più chiara e questo fornisce all’intera scena una luminosità che rinvigorisce e accende l’occhio dello spettatore.
Géricault scelse accuratamente il soggetto del suo primo grande lavoro, una tragedia che stava avendo risonanza internazionale, per alimentare l’interesse di un pubblico quanto più vasto possibile e per lanciare la sua carriera. Fu questo motivo che lo spinse ad incontrare diversi sopravvissuti che gli fornirono alcune testimonianze legate alla loro esperienza emotiva che avrebbero potuto ispirare pienamente il tono tragico del dipinto.
Eccoci giunti al termine in questo nostro breve, ma intenso viaggio, all’interno di una delle mie opere preferite, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima.
Mi chiamo Stella Mazzone e, nonostante la mia giovane età, sono attratta dallo studio della bellezza in tutte le sue forme. In particolare mi dedico all’analisi di opere artistiche e allo studio delle vite di artisti al fine di farle conoscere a chi, come me, ne è interessato. Il mio motto di vita è “La Bellezza Salverà il Mondo” ed è partendo da questo presupposto che porto avanti questa passione.
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