Intervista all’autore Alessandro Bettinzana

Intervista all’autore Alessandro Bettinzana in merito al suo libro “Racconti Neri”.


Il libro

Tra fantascienza e mistero, i sei racconti di questa raccolta ci mettono a confronto con originali evoluzioni della fantasia: insoliti macchinari mettono in questione vite perfette, strani planetoidi custodiscono segreti inaspettati, alieni cercano invano di comprendere la nostra specie, la nostra vita è messa a repentaglio da un gigantesco asteroide, il desiderio di conoscenza provoca un incontro con l’inatteso e un notaio s’imbatte in poteri antichissimi, in grado di sgretolare la realtà pezzo dopo pezzo.

 

Intervista all’autore Alessandro Bettinzana

Ciao e benvenuto su onlybookslover.it.

  • Parlaci del tuo libro “Racconti neri” in breve!

    Il libro è un’antologia di racconti. Mi piace definire il genere come “fantascienza esistenzialista”, in quanto gli immaginari di superficie (alieni, spazio, uomo futuro, tecnologia) sono quelli più o meno tipici della fantascienza, ma il nucleo tematico è dato da temi più vicini alla letteratura esistenzialista. Nei racconti, infatti, le narrazioni sono centrate sui temi come l’essere, in senso ontologico, e pure quotidiano (l’autodeterminazione, l’essere nel mondo), la ricerca, del senso della vita, ma pure della conoscenza (e i suoi limiti o impossibilità), il nulla, la percezione della realtà. La fantascienza del libro potrebbe essere anche definita come più “umanistica”, che tecnologica. Potrei citare come esempi di paragone la fantascienza di Ray Bradbury (Cronache marziane, Fahrenheit 451) e George R.R. Martin (es. l’antologia Le torri di cenere), più attente alle relazioni umane e alle emozioni piuttosto che agli elementi più strettamente scientifici e plausibili.

    I racconti spaziano in storie dal sapore drammatico, horror, ma anche comico e onirico. Ce n’è per tutti i gusti.

  • Come è arrivata l’idea?

    L’idea è sorta semplicemente seguendo il flusso della scrittura. Lo scrivere per me si è rivelato essere un’attività utile e anzi necessaria per “sfogare” certi sentimenti, una sorta di pressione emotiva che diviene in qualche modo creativa. È una cosa che credo facciamo tutti in un modo o nell’altro (e con un mezzo di espressione piuttosto che un altro). Quest’esigenza è sorta in particolar modo in seguito ad un periodo molto difficile della mia vita, un periodo in cui ho sofferto una profonda e costante tristezza (io dico depressione non diagnosticata). Ho deciso lì, dopo essermi rimesso a scrivere, che avrei pubblicato una grossa raccolta “ombrellone”, la quale avrebbe condiviso una medesima prospettiva e gli stessi sentimenti di fondo, sotto il nome di “Racconti Neri”, e che avrebbe ospitato diversi volumi sotto di sé. Racconti Neri, come tale, è un progetto che ospiterà altre uscite, le quali si focalizzeranno su altre macrocategorie tematiche. Questo primo volume ha il sottotitolo fantasma di “Ente”, sia come sostantivo (colui/ciò che è), che come participio (l’essere come verbo, la proprietà dell’essere). Al momento i piani sono di fare un secondo volume sulle emozioni, espresse mediante i volti e le espressioni facciali (già scritto, non ancora pubblicato), un terzo sulla coscienza, e un quarto sull’esperienza del silenzio di Dio (vissuto come abbandono e perdita).

  • C’è un evento nel libro che è stato particolarmente difficile scrivere?

    In un certo senso, gran parte delle scene e delle situazioni narrate nei racconti erano per me delle novità, e quindi essenzialmente una scommessa. Il racconto più articolato e complesso da scrivere, che pure è il mio preferito e quello che mi ha dato maggiori soddisfazioni in termini di stesura e realizzazione, è Uovo Cosmico, il racconto per me più importante e significativo dell’antologia, il più intimo forse, e quello che per “respiro” si avvicina maggiormente al ritmo di un romanzo (breve). Lì e in altri racconti ci sono delle scene in cui le prospettive del narratore cambiano, come tale cambiano l’agente, il soggetto, il narratore e le conoscenze che questi hanno. Mi piace giocare con i punti di vista nella narrazione, confonderli (anche per spiazzare il lettore e creare un’atmosfera onirica, quindi sfumata e nebbiosa), ma è una cosa che bisogna dosare a puntino.

  • Cosa ci dobbiamo aspettare da questa storia? Cosa volevi trasmettere?

    Su cosa il lettore debba aspettarsi, non so esprimermi, perché l’esperienza di fruizione cambia da persona a persona, in base alle sue esigenze e quello che in quel momento sta cercando, consciamente o in modo inconscio. Posso dire però, a costo di ripetermi, che un lettore potrebbe aspettarsi in questo libro dei racconti di fantascienza, in cui vi è uno spiraglio di riflessione su certi noccioli tematici “caldi”, che credo siano vicini ad ognuno di noi. Nel sollevare questi temi, però, non c’è una risposta certa o definitiva (sarebbe arrogante, in fondo). Semmai, vi è una domanda, per “rispondere” ad un’altra domanda. Le mie risposte sono fra le righe naturalmente, ma ognuno deve trovare le proprie.

    Riassumendo: Racconti Neri è una raccolta di racconti in cui ho cercato di utilizzare la fantascienza come trampolino per imbastire delle storie di genere fantastico in cui le nostre grandi domande sulla vita potessero trovare spazio di riflessione; più che dare una risposta, cerco di aprire il varco per una domanda, o di mettere la pulce nell’orecchio, come si suole dire.

  • Questo è il tuo primo libro?

    Sì, questo è il mio primo libro. Ho però finito di scrivere quest’estate il volume 2. Cercherò un editore all’inizio del prossimo anno.

  • Quanto c’è di te in questa storia?

    In queste storie, di me, c’è tutto. Ci sono i miei drammi, le mie difficoltà, la tristezza (o disperazione) provata, i miei interessi, e pure i miei punti di vista, perché no, ma tutto questo è trasformato e rilanciato in una forma narrativa e fantastica, nella quale altre persone possono ritrovarsi, senza necessariamente rifarsi alla fonte originaria. La cosa bella della narrativa, io dico, è che può davvero arrivare a tutti (a differenza di discipline specialistiche come la scienza e la filosofia), e ognuno può trovarci quello che vuole o cerca, quello che in quel momento può risuonare con lui, qualcosa di bello, o qualcosa di meno bello (tutto questo, in fondo, fa parte dell’esperienza artistica). Forse è il rispecchiamento il motore principale della nostra fruizione dell’arte, o forse no. In ogni caso, credo che quello con l’autore sia secondario e che anzi, possa finire con lo “svelare” troppo dei retroscena, mostrando l’aspetto artificiale della scrittura (in questo caso) e facendo perdere la magia dell’immaginazione. Come Lynch, preferisco lasciare un velo di ambiguità, uno scarto tra ciò che sembra e ciò che è.

  • Che tecnica usi quando scrivi un libro? Sei solito effettuare delle ricerche?

    La storia, di solito, prende vita piano piano, dopo aver identificato un tema e delle immagini (di solito senza neppure che me ne accorga; qui, di nuovo, giocano un ruolo importante l’inconscio e l’intuizione). Una volta che ho capito la direzione e identificato delle scene per me culmine, stendo gli eventi e riempio i buchi. Ogni scena è funzionale alla scrittura ed è come la tappa di un percorso. Prediligo una narrazione essenziale, per tagliare il più possibile i tempi morti e il superfluo (e quindi la noia). Applico questo approccio anche alla prosa. La preferisco fulminea e breve (un grande riferimento, qua, è per me Cesare Pavese), concedendomi periodi più lunghi per i momenti topici e riflessivi, dove posso abbandonarmi maggiormente alla parola, alle descrizioni e alle immagini. Questo mi porta, nel bene e nel male, a sviluppare racconti che hanno un ritmo piuttosto serrato, un approccio che ha dei pro, ma anche dei contro (per esempio, credo sia assolutamente inadatto per un romanzo). Un’altra “tecnica” che utilizzo, se così posso chiamarla, forse niente più di un’altra preferenza, è quella di “giocare” il più possibile col punto di vista del narratore. È una cosa che adoro fare, a costo di confondere il lettore o spiazzarlo (è una cosa voluta), creare ambiguità tra la realtà e l’allucinazione/sogno. Lynch, citandolo di nuovo, è per me una grande ispirazione. Cerco di applicare il suo approccio alla cinematografia, dove possibile, alla mia scrittura. E in un certo senso è anche approfittare di una caratteristica del mezzo della scrittura. Questa, infatti, non può basarsi sulla sensorialità visiva (a differenza del cinema, della pittura o del videogioco), ma solo su quella immaginativa che le parole suscitano. Questo fatto per me offre tanti vantaggi a livello narrativo, e io cerco di sfruttarlo come meglio riesco.

    Da ultimo, ma non per importanza: nelle mie storie cerco di dare pari importanza a due aspetti per me fondamentali, cioè quello tematico, e quello narrativo. Il tema è per me fondamentale, ma senza una vicenda soddisfacente e un finale all’altezza, rimane un giochino dell’intelletto (o un saggio mancato). Viceversa, una storia “fine a se stessa”, cioè una semplice successione di eventi, mi lascia completamente indifferente, come un guscio vuoto. Cerco sempre un equilibrio, anche per dare maggiore versatilità ai racconti.

    Per quanto riguarda la ricerca: sì, naturalmente. Il racconto, tuttavia, per la sua brevità e per il mio approccio non necessita di grandi approfondimenti. Di solito mi basta documentarmi su quelle poche cose che mi possono servire (per esempio la nomenclatura degli asteroidi in Uovo Cosmico). Per un romanzo, naturalmente, la grandezza della ricerca prima della scrittura (o funzionale ad essa) sarebbe di un altro spessore.

  • Stai parlando a un lettore che ancora non ti conosce, perché dovrebbe leggerti?

    Credo che i miei racconti, per la relativa brevità, la prosa volutamente spontanea e semplice (c’è spazio anche per qualche momento più “estetico” e ricercato, sia chiaro) e il sopracitato equilibrio tra tema e storia, possano essere cibi digeribili per tutti i lettori. Chi cerca una narrativa “tematizzata” e suggestiva per la riflessione, qua può trovarla, chi cerca “solo” una storia con una successione di eventi e (spero) colpi di scena e finali che spiazzano, anche lui può trovare ciò che vuole. Inoltre, io credo, i racconti possono essere apprezzati sia da chi è già avvezzo alla fantascienza, sia da chi se ne tiene alla larga (spesso, mi spiace dirlo, per pregiudizi sul genere). Anzi, credo che Racconti Neri vol.1 possa essere ancora più apprezzabile da chi è abituato ad un altro tipo di narrativa, per esempio quella novecentesca italiana coi grandi Pirandello, Pavese, ecc. Il genere della fantascienza sfortunatamente è snobbato da molti intellettuali, e questo preclude loro autori geniali come Philip K. Dick, Douglas Adams, Ted Chiang, il già citato Ray Bradbury, etc. C’è una ingerenza forte verso il fantastico, e pure verso il racconto (giudicato “minore” o inferiore rispetto al romanzo), e questo nonostante autori che sono vere e proprie colonne portanti della narrativa tutta si siano espressi in questi modi (cito qui Poe, Lovecraft, Buzzati, Kafka, Borges); nel mio piccolo, senza alcuna pretesa e arroganza, mi piace pensare e sperare che questo libro, se letto senza preconcetti, possa aprire uno spiraglio di interesse anche verso altri scrittori di genere fantastico e verso tutto il genere tout court.

 

 

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