Ti regalo una poesia d’amore: Claudia Speggiorin

Istantanea di nostalgia.

di Claudia Brigida Speggiorin.

 

Quanti bagliori hai catturato, al calar del sole, su questo nostro lago e poi

risalendo il fiume

tu filosofo e io nativa.

Il tuo ateo esistenzialismo e la mia pagana spiritualità

parlavano la stessa lingua

osavano la medesima ricerca dell’essere

sfidavano la razionalità per farsi Arte incauta e ribelle di sentimenti.

Quante parole amate

nella tua bocca

nella mia bocca

leccate, succhiate, gustate

da Sartre a Malatesta

dai vangeli apocrifi al Popol Vhu

dalle immagini del mondo alle

leggendarie città perdute

dai corti cinematografici ai monoliti arcaici

dal manifesto dei simbolisti ai nostri sogni

quelli che dimoravano nella notte

ad occhi chiusi

e poi, dai genocidi alle nostre responsabilità personali

dalle persecuzioni alle gabbie individuali

dall’inquietudine alla speranza

dal pianto all’abbraccio

e, intanto sapevamo anche ridere.

Io e te

visionari d’ inconscio

veggenti d’amore

creatori di noi stessi.

Mi chiamavi Devī

colei che splende e risplende

gioia spirituale

risposta alla tua domanda esistenziale.

Trent’anni sono pochi per perdersi così

mia privazione confortata d’illusione.

Ti ho cercato in questa landa di morti per un’era intera e disperata

gridando il tuo nome che vuol dire Uomo

ma ho trovato solo spettri di me stessa

l’ombra di Devī è un inferno terrificante da attraversare

fondo cieco e occulto di un buio oltre le tenebre.

Mostruose apparizioni di perdita e mancanza

orchesse e demonesse assetate di sangue

affamate d’amore

lo straziante grido del bisogno che rimbalza tra le pareti del vuoto

la rabbia con Dio

l’ira scagliata

contro la forma perfetta dell’esistenza

donata e saccheggiata

contro quel meraviglioso reticolato del senso nascosto e rinvenuto

rimasto rete per l’anima,

solitudine di uno straordinario senza più ordinario.

La più raffinata manifestazione di libertà divenuta gabbia atroce e soffocante.

L’angoscia di morte non è altro che il terrore di rimanere soli nel mondo.

Piangevo per me

faccia nascosta della luna

volto ormai oscuro di Devī senza più

te che mi adoravi.

Piangevo per la brutta altra me stessa con cui mi avevi lasciata

andandotene senza commiato

all’improvviso.

Siamo così egoici, individualisti, gretti, narcisisti noi esseri umani, eppure sappiamo amare così tanto, così interamente.

La vita preme dove morte lede.

Compassione, amore mio,

ci vuole un compassionevole sguardo di sé

per riemergere dall’occulto

con un frammento splendente di quell’essere che invero siamo

sublime seme in disperata finitezza umana.

Guardo profondità trasversali in questo panorama

prospettive di orizzonti scivolano sullo sfondo

tra luci e ombre

lacrime e sorrisi

nel respiro viola del tramonto.

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istantanea di nostalgia

cartolina dal mondo

” Chi siamo? Da dove veniamo, dove

andiamo?

Un caro saluto, amore mio

e la ricerca continua”

 

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