Recensione del libro “La donna da mangiare” di Margaret Atwood scritta da Anna Leone!
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TRAMA
Spregiudicato, esilarante e acuto, La donna da mangiare è il primo romanzo di Margaret Atwood e contiene già tutti i temi delle sue opere successive, presentandola come un’osservatrice consumata delle ironie e delle assurdità generate dal conformismo.
Marian è una ragazza ben educata e istruita, vive negli anni Sessanta a Toronto, ed è fidanzata con Peter, un promettente avvocato. Lavora in un’azienda che si occupa di ricerche di mercato, dove i posti di responsabilità sono tutti ricoperti da uomini. Ambiziosa, ma anche desiderosa di essere normale, Marian decide di assecondare le richieste del suo fidanzato e della società e attende fiduciosa il matrimonio, che pensa le conferirà un ruolo. La svolta inattesa giunge quando incontra Duncan, un dottorando in Letteratura inglese che ignora le regole ed è profondamente determinato, a differenza di Marian, a esprimere la propria individualità. La ribellione parte dal corpo della ragazza, che inizia a rifiutare il cibo: prima la carne, poi le uova, infine le verdure, finché la sua personalità, tenuta così a lungo a freno, esplode in una serie di comportamenti inappropriati e sovversivi, modificando per sempre la sua rassicurante, stabile routine. Spregiudicato, esilarante e acuto, La donna da mangiare è il primo romanzo di Margaret Atwood e contiene già tutti i temi delle sue opere successive, presentandola come un’osservatrice consumata delle ironie e delle assurdità generate dal conformismo.
RECENSIONE
“Su un albero vicino cantava una cicala, e la sua monotona vibrazione faceva l’effetto di un ago di luce calda fra le orecchie.” (Page 42).
Il romanzo “la donna da mangiare” di Margaret Atwood, mi ha sorpreso da subito. È stata una lettura molto diversa rispetto a quelle che faccio per questo blog il che ha aumentato la mia curiosità. Di solito preferisco leggere in lingua originale, ma in questo caso sono stata ben lieta di fare un’eccezione. Devo ammettere, e mi dispiace, che non conoscevo questa autrice, ma cercherò di rimediare subito, approfondendo la sua bibliografia come posso. Credo che Atwood abbia non poco da dire e, perché no, anche insegnare a me e probabilmente a tanti di noi.
Innanzitutto devo dire che ci ho messo un bel po’ rispetto ai miei tempi usuali sia a leggere questo libro sia poi a mettermi a scriverne una recensione. I motivi della difficoltà nel recensire risiedono per lo più nel timore, ossia, poter trovare una sorta di piano neutro, di esprimere le mie opinioni e soprattutto quello che questa storia mi ha dato, le riflessioni che ne sono nate, i pensieri suscitati, riuscendo al contempo a non svelare troppo e quindi in qualche modo rovinare il piacere della lettura a chi vorrà dedicare delle ore a questo romanzo.
L’opera è suddivisa in tre parti, la prima vede Marian, la protagonista, in veste di narratrice, nella seconda parte, invece, appare un narratore esterno e nella terza e ultima, decisamente più breve rispetto al resto, riprende la parola Marian.
“La mia calma è andata in frantumi. Mi sono sentita correre sulla pelle le zampette da topo dell’apprensione. Di cosa ero accusata, esattamente? Mi ero esposta? Non mi veniva niente da dire.”
La mia lettura è andata in modo meno rapido del solito perché la prima parte, inizialmente interessante e direi anche briosa, pian piano mi ha dato un senso di disorientamento. Non riuscivo a immedesimarmi nella protagonista, né tanto meno in nessun altro personaggio della storia, non riuscivo a capirne le emozioni e sentimenti, le paure…
Con l’arrivo della seconda parte, invece, è come se il narratore mi abbia preso per mano guidandomi nei meandri della trama, delle azioni e stati d’animo degli abitanti di Toronto (la città si intuisce ma l’autrice non ne svela il nome, né troppe peculiarità che possano far ricondurre ad essa un lettore che non ha mai visitato il Canada, come nel mio caso) e così ho preso coscienza e sono finalmente riuscita a entrare nella storia. L’autrice ci offre non pochi momenti e soprattutto battute colme di stridente arguzia, a volte fino a toccare la ferocia, la realtà viene presentata nella sua cruda essenza.
«Così è anche andata all’università. Avrei dovuto capirlo. È questo che otteniamo in cambio» disse senza riguardo, «dando un’educazione alle donne. Si cacciano in testa le idee più assurde». «Mah, non direi» replicò Marian con una punta di asprezza. «Anche a certi uomini non è che faccia un gran bene».
I personaggi sono quasi tutti a mio avviso surreali, così come alcune scene dove veramente non capivo se fosse tutto semplicemente metafora oppure evento “reale”. Secondo me, molto degno di nota è Duncan. Credo che il dottorando, che non si capisce neanche se sia maggiorenne o meno, che all’inizio incuriosisce e quasi spaventa Marian con le sue parole spesso buttate lì secondo una logica non ben precisa, personaggio a cui viene attribuito dunque il ruolo di “strano”, “disadattato”, alla fine, nella sua solipsistica esistenza e logorroica introspezione ne risulti quasi riabilitato. E insieme a lui, anche un altro personaggio, quale sarà?
Clara, amica di Marian e la signora Bogue, la superiore di Marian sono forse invece le persone che all’interno della storia mi sono sembrate più “reali”, i personaggi che più sono riuscita a vedere come possibili e a me quasi conosciuti.
Ainsley, la coinquilina di Marian, appare dall’inizio come donna emancipata e femminista che con la sua forza e le sue convinzioni quasi oscura Marian. Quest’ultima, è come se per buona parte del romanzo galleggiasse, oscillante tra il volere e gli umori dell’estrosa coinquilina e di Peter, il suo fidanzato. Peter, un giovane avvocato agli inizi di una promettente carriera, che non mi è piaciuto sin dalla sua apparizione, forse figlio del suo tempo, non saprei dire, non conosco affatto il Canada degli anni 60 , forse proprio fatto lui così.
Per quanto riguarda l’opera in sé, ovvero la versione italiana, sono stata sorpresa nel notare qualche piccolo refuso, non grave, ma comunque presente.
Come già anticipavo prima, non voglio rovinare il finale a chi vorrà leggere questo romanzo, per cui termino qui la mia recensione lasciando alcune domande come spunto di riflessione.
Chi è veramente Marian?
E chi è – se c’è – la vera femminista presentata in queste pagine da Atwood?
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