Nasce: CLASSICI HarperCollins

Nasce: CLASSICI HarperCollins una nuova collana che vede protagonisti i capolavori della letteratura.

“I classici sono per definizione libri senza tempo, storie che avevano qualcosa da raccontare quando sono state scritte e che continuano a emozionarci anche oggi. Ma la cosa più bella è che creano un filo rosso che unisce le generazioni: li hanno letti le nostre mamme e nonne, li leggeranno i nostri figli e nipoti, sono stati e saranno sempre un legame tra le persone, qualcosa da condividere in un momento in cui la vita sembra separarci sempre di più.
È con questo spirito che abbiamo affrontato l’avventura di pubblicare con nuove traduzioni alcuni tra i testi che sono entrati nel nostro immaginario collettivo. È una sfida che ci appassiona, l’occasione per rileggere con occhi nuovi libri e autori che abbiamo amato in passato, e per scoprire che anche se sono cambiate tante cose, alla fine noi esseri umani non siamo poi cambiati così tanto. È un’avventura che abbiamo intenzione di continuare”. 
Sabrina Annoni, Direttrice editoriale di HarperCollins Italia

Progetto grafico di Riccardo Falcinelli

“Per un designer di libri inventare le copertine dei classici è una delle cose più appassionanti: non devi illustrare il contenuto del libro, ma giocare con l’immaginario che i lettori hanno già in testa, con quello che le persone già sanno anche se questi libri, magari, non li hanno mai letti: se dico “piccole donne” o “zanna bianca” ci sono decine di mondi che si schiudono nell’immaginazione e nei ricordi. E così il tono, l’iconografia, il cromatismo dialogano con tutte le idee, i discorsi, i film che sono già stati costruiti su di loro.  Arrivano i classici di HarperCollins e, cosa rara, sono stato lasciato libero di fare quello che volevo: lettering, colore, appena un accenno iconografico. I classici si possono fare in mille modi, non esiste la copertina giusta: io li volevo minimali ma non minimalisti, contemporanei, colorati e pop. Come per i Pokemon viene da dire: “collezionali tutti”. Riccardo Falcinelli

Jane Austen
ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

«Credo che in ogni inclinazione ci sia la tendenza a una particolare ferocia. Un difetto naturale che nemmeno la miglior istruzione può superare.»

«E il vostro difetto è detestare tutti.»

«E il vostro» ribatté lui con un sorriso, «è fraintenderli deliberatamente.»

“Nessuno di noi due si esibisce per gli sconosciuti.”

È una battuta nascosta in una delle tante conversazioni tra i protagonisti di questo romanzo a offrire la chiave dei loro caratteri, solo in apparenza incompatibili fino allo stridore: lei, Elizabeth Bennet, più aggraziata che bella, impegnata a riparare con onestà e arguzia il disastro sociale che è la sua famiglia per la felicità della sorella grande, la candida Jane; lui, Fitzwilliam Darcy, attratto da una giovane così inadeguata al suo rango, pronto a contrastare con arroganza il sentimento a cui infine dovrà arrendersi. Pur così lontani per nascita e conoscenza del mondo, sono però vicini perché entrambi solitari, non convenzionali, ironici: ed è soprattutto l’intelligenza, intesa come capacità di uscire da sé per guardare la vita con gli occhi dell’altro, a far sì che il loro duetto – in sottofondo il basso continuo del chiacchiericcio altrui – si riveli un trionfo di vivida intesa. Dal primo incontro in una rustica sala da ballo all’epilogo – un matrimonio d’amore, rarità per l’epoca – questo romanzo è un concerto da camera, un gioco di note e silenzi che vede Elizabeth e Darcy cercarsi, detestarsi, fraintendersi, ritrovarsi: lei dovrà abbandonare il pregiudizio, lui deporre l’orgoglio. I loro battibecchi, i soliloqui, i pensieri, i messaggi sono pura musica, da leggere in ascolto. Beatrice Masini

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 12 euro, 464 pagine
Traduzione di Beatrice Masini

JANE AUSTEN
(Steventon 1775 – Winchester 1817)

È nata in Inghilterra, in una piccola cittadina dello Hampshire dove il padre, pastore anglicano, si è occupato personalmente della sua istruzione instillandole un profondo amore per la letteratura. Ha iniziato a scrivere giovanissima per divertire i familiari e i conoscenti più stretti con racconti gotici e umoristici, poesie e parodie dei romanzi in voga in quel periodo, e appena ventenne ha iniziato a lavorare alla prima stesura di quelli che oltre quindici anni dopo sono diventati due dei suoi capolavori, Ragione e sentimento (1811) e Orgoglio e pregiudizio (1813), specchio della società del periodo ritratta con lucida ironia nei suoi aspetti più frivoli.
Ma sono soprattutto le donne, la loro educazione sentimentale e le assurde limitazioni a cui era soggetta la loro esistenza le vere protagoniste di tutti i suoi romanzi e in particolare dell’ultimo, Persuasione (1818), una lezione (attualissima) di libertà e femminismo.

Louisa May Alcott
PICCOLE DONNE

«Mi piacerebbe tanto che fosse sufficiente metterci dei ferri da stiro sulla testa per smettere di crescere. Ma, ahimè, i boccioli diventano inevitabilmente delle rose, e i gattini dei gatti adulti!»

Un anno, tanto dura la storia racchiusa tra la prima e l’ultima pagina di Piccole Donne.

È Natale quando ci si immerge nel mondo dai confini fisici minimi, eppure sconfinato, delle sorelle March.

Ed è sempre Natale, quello successivo, quando lo si lascia. In mezzo, la vita di quattro adolescenti decise a tirare fuori il meglio da quei difetti che le rendono umanissime: c’è Meg, che non può fare a meno di sognarsi circondata dai lussi di cui la povertà la priva; c’è Josephine, detta Jo, una passione smisurata per le storie e un’insofferenza soffocante per i limiti che le impone l’esser nata donna; Beth, quieta e silenziosa, più appagata dal fare da spettatrice alla vita delle sorelle che dall’essere protagonista della propria; e infine Amy, vanitosa ed egoista, troppo concentrata a rimirarsi in ogni superficie riflettente per curarsi di ciò che accade a chi le sta intorno.

Meg, Jo, Beth ed Amy sono quattro “piccole donne” dai caratteri diversi eppure complementari, unite da quel legame unico e speciale che si alimenta di risate sotto le coperte e risvegli condivisi, di litigi furiosi e scuse accigliate, di abiti prestati e prime volte vissute nei racconti l’una dell’altra: la sorellanza. Ed è proprio la potenza di questo legame che rende grande una storia piccola come le sue protagoniste, una storia in cui il percorso di una diventa quello di tutte. E, come accade solo con i classici, anche il percorso di chi legge.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 12.00 euro, 384 pagine
Traduzione di Mariella Martucci

LOUISA MAY ALCOTT
(Germantown 1832 – Boston 1888)

Americana, seconda delle quattro figlie del filosofo e pedagogista Amos Bronson Alcott e dell’attivista Abby May, sin da giovanissima ha lavorato per contribuire alle precarie condizioni economiche della famiglia, senza però mai rinunciare allo studio, portato avanti privatamente con insegnanti come H.D. Thoreau e Margaret Fuller, e alla grande passione per la scrittura.
Prima di pubblicare Piccole Donne (1868) e dedicarsi esclusivamente alla letteratura per l’infanzia, celandosi dietro l’anonimato o allo pseudonimo A. M. Bernard, si è cimentata con i generi gotico, thriller e giallo in racconti e romanzi pubblicati a puntate su numerosi periodici.
Convinta abolizionista, ha condotto una vita da attivista politica e sociale, dando rifugio insieme alla famiglia agli schiavi afroamericani che cercavano di fuggire verso la libertà con l’Underground Railroad, prestando servizio come infermiera volontaria durante la Guerra civile americana e battendosi a favore del suffragio universale.

Frances Hodgson Burnett
IL GIARDINO SEGRETO

Il Giardino Segreto, così lo chiamava Mary quando ci pensava.
Le piaceva quel nome, e le piaceva ancora di più sentire che quando i suoi bei muri la circondavano nessuno sapeva dov’era.
Era come trovarsi in un posto magico, separata dal mondo.

Mary Lennox non è una bambina simpatica. Tutti dicono che è brutta e troppo magra. Nella lussuosa villa in India dove vive, viene servita e riverita da una balia che ubbidisce a ogni suo capriccio.

I genitori, da sempre, sono troppo occupati per stare con lei. Ecco perché è arrogante, egoista, viziata e incapace di sorridere. Ma una mattina, Mary si sveglia e nella casa non c’è più nessuno. I genitori e tutta la servitù sono morti improvvisamente, colpiti da un’epidemia. Solo lei si è salvata, ma non può rimanere da sola in India, così viene mandata in Inghilterra, affidata alle cure di uno zio. Nel misterioso e solitario Castello di Misselthwaite, in mezzo alla brughiera, Mary si sente se possibile ancora più sola di prima. Finché un giorno, il cinguettio di un bizzarro pettirosso la conduce fino a un muro che nasconde un meraviglioso giardino. Abbandonato e inaccessibile a tutti, il giardino rifiorisce grazie alle cure di Mary e di Dickon, un ragazzo che sembra avere il potere di incantare gli animali. E una volta che la natura si sarà risvegliata, il suo potere benefico potrà aiutare tutti, ma proprio tutti, gli abitanti di Misselthwaite…

Originariamente apparso a puntate su una rivista letteraria, Il giardino segreto è un romanzo pieno di magia che parla del potere della natura e dell’amicizia, e che ha incantato e continua a incantare generazioni di ragazzi (ma anche di adulti) in tutto il mondo.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 12 euro, 304 pagine
Traduzione di Bérénice Capatti

FRANCES HODGSON BURNETT
(Manchester 1849 – Plandome 1924)

Nata e cresciuta in Inghilterra, alla morte del padre è emigrata negli Stati Uniti insieme alla famiglia.
Ha iniziato a scrivere per necessità quando ha perso la madre, e dal 1868, anno in cui la rivista Godey’s Lady’s Book ha accettato il suo primo racconto, le sue storie sono state pubblicate regolarmente.
Si è sposata due volte, e altrettante ha divorziato. A portarla al successo è stato il suo primo romanzo, Il piccolo Lord Fauntleroy, pubblicato a puntate su una rivista, seguito da La piccola principessa, che successivamente la stessa Burnett ha trasformato in una pièce teatrale e poi in musical, e nel 1910 da Il giardino segreto, forse l’opera per cui è più famosa. Tutti i suoi romanzi sono stati adattati per il teatro, la televisione e il cinema.

Charles Dickens
CANTO DI NATALE

Perché provava una gioia sconfinata nel vederli?
Perché i suoi freddi occhi brillavano, e il suo cuore sussultava al loro passaggio?
Perché lo riempì di felicità sentire che si auguravano Buon Natale, separandosi ai bivi e ai crocevia, per tornare alle loro case? Cos’era un felice Natale per Scrooge?
Che andasse in malora, il Natale! Quale bene ne aveva mai tratto?

“Marley era morto, partiamo da qui.” Così inizia la storia natalizia più amata al mondo. Canto di Natale accompagna con la sua musica un vecchio avaro dal cuore inaridito, Ebenezer Scrooge, nel suo viaggio verso la redenzione, costringendolo a guardarsi attorno e a scrutare dentro di sé con l’aiuto di tre spiriti, i Fantasmi del Natale Passato, Presente e Futuro.

È un canto che risuona nella poesia del testo, con la sua metrica e i blank verse tanto cari a Dickens, quasi ci invitasse a leggerlo a voce alta, a ricercare un ritmo nella nostra lingua e a tendere l’orecchio verso le note che segnano il passo di una storia in cui perfino i rumori per le strade possono diventare melodia.

Il ballo di Fezziwig, l’impetuosa canzone del guardiano del faro, il motivo canticchiato dai marinai… fino alla malinconica canzoncina intonata da Timmy, ogni nota aiuta il cuore di un altro bambino, ormai cresciuto, a sciogliersi a poco a poco fino a riscoprire, in un’arietta semplice e carica di ricordi, ciò che è buono e sacro.

E così, nella musica, il miracolo è pronto a compiersi, le campane a suonare a distesa e il lettore ad aprirsi alla magia di una favola immortale.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 9.90 euro, 144 pagine
Traduzione di Daniela Marchiotti

CHARLES DICKENS
(Portsmouth 1812 – Higham 1870)

Nato in una famiglia di umili origini, ha appreso presto quanto fosse difficile sopravvivere nella Londra del XIX secolo. A soli dodici anni è stato costretto a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe, ma nonostante le difficoltà è riuscito a portare a termine gli studi e ha trovato impiego prima come stenografo e poi come cronista in diversi giornali.
Nel 1836 ha pubblicato a dispense mensili sul Morning Chronicle il suo primo romanzo, Il circolo Pickwick, seguito l’anno dopo da Oliver Twist e nei decenni seguenti da una lunga serie di opere di grande successo.
Giornalista, scrittore, reporter di viaggi, attore, conferenziere, è autore di alcune delle opere considerate capolavori assoluti della letteratura vittoriana, da Canto di Natale (1843) a David
Copperfield (1849-1850), da Tempi difficili (1854) a Grandi speranze (1861).
È morto nel 1870, colpito da emorragia cerebrale.

Oscar Wilde
IL FANTASMA DI CANTERVILLE

«Temo che lo spettro esista davvero» disse Lord Canterville sorridendo, «e appare sempre prima della morte di un membro della nostra famiglia.»

«Be’, anche il medico di famiglia si presenta sempre nelle stesse circostanze, Lord Canterville.

Ma i fantasmi non esistono, e credo che le leggi della natura non facciano eccezione nemmeno per l’aristocrazia britannica.»

Hiram Otis, ambasciatore degli Stati Uniti in Inghilterra, si è appena trasferito a Canterville Chase con la moglie e i quattro figli quando scopre che tutto ciò che il precedente proprietario gli ha raccontato è vero, il castello è infestato da un fantasma: una sinistra macchia di sangue compare sul pavimento della biblioteca, e le notti sono funestate da inquietanti cigolii di catene, tonfi, lamenti. Gli Otis però non si lasciano intimidire, e a tutti i tentativi di spaventarli reagiscono con il tipico pragmatismo degli americani: lavano via la macchia di sangue, offrono al fantasma del lubrificante per le catene, e i pestiferi gemelli gli giocano ogni sorta di orribili scherzi. L’unica a provare un briciolo di compassione è la piccola Virginia… Ma avrà la forza di aiutarlo a trovare la pace?

Pubblicato in due puntate sulla rivista The Court and Society Review nel 1887, Il fantasma di Canterville è uno dei più celebri racconti di Oscar Wilde, una raffinata favola gotica che mette a confronto con sottile ironia l’alta società inglese e la borghesia americana, ma al tempo stesso invita a riflettere sul significato della vita e della morte, dell’amore e del perdono, e sull’importanza di saper accettare chi è diverso da noi.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 8.90 euro, 80 pagine
Traduzione di Alessandra Roccato

OSCAR WILDE
(Dublino 1854 – Parigi 1900)

Ha studiato al Trinity College di Dublino, si è laureato a Oxford e poi si è trasferito a Londra in cerca di fortuna, dove ha iniziato a scrivere per diverse testate giornalistiche ed è stato direttore di una rivista femminile. Il suo unico romanzo, Il ritratto di Dorian Gray, ha avuto un successo senza precedenti e gli ha aperto le porte dei salotti dell’alta società londinese che sono diventati teatro di alcune delle sue commedie più ironiche e irriverenti: Il ventaglio di Lady WindermereUn marito idealeL’importanza di chiamarsi Ernesto. Raffinato esteta, brillante conversatore e stravagante dandy, è stato uno dei personaggi più controversi e chiacchierati del tempo per le sue relazioni omosessuali, che lo hanno portato, nel 1895, a essere condannato a due anni di carcere: un’esperienza durissima che ha ispirato due delle sue opere più mature, il De Profundis, una struggente lettera d’amore al suo compagno Alfred Douglas, pubblicata postuma, e La ballata del carcere di Reading. Ha vissuto i suoi ultimi anni in Italia e poi in Francia, dove si è spento a Parigi a soli 46 anni.

Robert L. Stevenson
LO STRANO CASO DEL DOTTOR JEKYLL E DEL SIGNOR HYDE

Il signor Hyde era pallido, basso e tarchiato, dava un’impressione di deformità senz’avere alcuna malformazione identificabile, aveva un sorriso repellente e nei confronti dell’avvocato si era comportato con una specie di miscuglio di timidezza e audacia, parlava con voce roca, sussurrante e in un certo senso rotta; tutti questi aspetti lo rendevano inviso, ma, anche se considerati tutti insieme, non potevano spiegare il senso fino ad allora sconosciuto di disgusto, disprezzo e paura con il quale il signor Utterson lo aveva osservato.

Ci sono pochi romanzi in grado di valicare il confine della pagina e risuonare nell’immaginario di quasi tutti gli esseri umani del mondo, anche di quelli che non li hanno mai letti.

Uno di questi è Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Ispirato forse a un caso di cronaca avvenuto in Connecticut, Robert Louis Stevenson dichiarò che iniziò a scriverlo dopo avere sognato alcune sue scene. Centrato sul tema del doppio, fondamentale in molte opere dello scrittore inglese, il libro incontrò subito un grande successo di pubblico e critica. A partire dai loro “nomi parlanti” Jekyll (“Je kill”, “io uccido”) e Hyde (dal verbo inglese “to hide”, “nascondere”, ciò che è sepolto e tenuto segreto nell’oscuro del cuore) diventarono in breve tempo figure simboliche indimenticabili e universali, prestandosi a innumerevoli interpretazioni critiche.

Ma al di là di ogni tipo di possibile teoria che queste due straordinarie figure ispirano, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è prima di tutto un libro che si legge d’un fiato, da cui è impossibile staccarsi, immedesimandosi con lo sguardo sperduto e atterrito dell’avvocato Utterson che introduce il lettore nella storia. Un capolavoro di tensione, profondità, immaginazione, atmosfere, che rendono questo breve romanzo uno dei più grandi libri della storia della letteratura.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 9.90 euro, 144 pagine
Traduzione di Paolo Maria Bonora

ROBERT L. STEVENSON
(Edimburgo 1850 – Vailima 1894)

Di famiglia benestante, cagionevole di salute, anziché seguire le orme del padre e diventare ingegnere civile ha studiato Giurisprudenza all’università di Edimburgo, per poi abbandonare anche quella strada dopo la laurea e dedicarsi alla sua vera passione: scrivere. Ha pubblicato saggi, poesie, resoconti di viaggio e racconti, oltre ad alcuni tra i più bei romanzi d’avventura della storia della letteratura, tra cui L’isola del tesoroLa freccia neraIl fanciullo rapitoIl master di Ballantrae e soprattutto Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde: scritto in poco più di una settimana, è stato pubblicato nel 1885 in una collana di racconti thriller e l’anno dopo come volume singolo, ottenendo un successo senza precedenti sia in America che in Inghilterra. Grande viaggiatore, Stevenson è vissuto tra la Scozia, la Francia, l’America e le isole del Pacifico, dove è morto nel 1894 a Vailima, la tenuta nelle isole Samoa in cui si era trasferito pochi anni prima insieme alla moglie Fanny, sua musa ispiratrice.

Antoine De Saint-Exupéry
IL PICCOLO PRINCIPE

«Voi non siete per niente simili alla mia rosa, non siete ancora niente» disse loro.

«Nessuno vi ha addomesticate e voi non avete addomesticato nessuno. Siete com’era la mia volpe. Una volpe comune, simile a centomila altre volpi. Ma io ne ho fatto una mia amica, e ora lei è unica al mondo.»

In un deserto lontano, a mille miglia di distanza da ogni luogo abitato, un pilota d’aereo è costretto a un atterraggio d’emergenza per un’avaria. È completamente solo sotto il cielo infinito, in mezzo a un oceano di sabbia, quando una vocina gli chiede di disegnargli… una pecora. La strana richiesta arriva da un buffo ometto vestito come un principino, che fa un milione di domande curiose.

Ma che cosa ci fa un bambino sperduto nel deserto? Da dove viene? E a cosa gli serve una pecora?

Così, dall’incontro tra due mondi – uno regolato dalle leggi degli adulti, l’altro che conosce solo i limiti dettati dall’immaginazione – nasce la commovente amicizia tra due anime solitarie, un’amicizia che illumina il cuore del pilota e gli insegna che a volte, quando le cose sono troppo difficili da capire, non c’è altra scelta che aprirsi al mistero della vita.

Scritta nel 1943 e accompagnata dalle illustrazioni dell’autore, Il piccolo principe è una favola moderna che parla di solitudine e amicizia, amore e perdita, una straordinaria allegoria della condizione umana che si rivolge ai più piccoli, ma soprattutto ricorda agli adulti che anche loro, una volta, sono stati bambini.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 7.50 euro, 128 pagine
Traduzione di Tania Spagnoli

ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY

(Lione 1900 – Mar Mediterraneo 1944)

Figlio del Visconte Jean de Saint-Exupéry e di Marie Boyer de Fonscolombe, ha trascorso l’infanzia e buona parte dell’adolescenza a Le Mans, nel castello di Saint-Mauricede-Rémens. La sua vita è segnata da due grandi passioni, l’aeronautica e la scrittura, che ha coltivato fin da giovanissimo. Nel 1921 ha preso il brevetto di pilota civile, poco dopo quello di pilota militare, e nel 1926 ha pubblicato sulla rivista Le Navire d’Argent il suo primo racconto, L’aviatore, seguito negli anni successivi da Corriere del SudVolo di notte e Terra degli uomini. Pilota spericolato con la vocazione dell’eroe, durante la Seconda guerra mondiale ha prestato servizio nell’aeronautica militare, compiendo molte missioni pericolose che ha raccontato in Pilota di guerra. Nel 1943, a New York, ha pubblicato Il piccolo principe, in assoluto l’opera francese più conosciuta e venduta nel mondo. Nel 1944 è partito per una missione di ricognizione sul Mediterraneo dalla quale non ha mai fatto ritorno.

Jack London
ZANNA BIANCA

Se Zanna Bianca non si fosse mai accostato al fuoco dell’uomo, il mondo selvaggio l’avrebbe modellato come un vero lupo.
Ma gli dei gli avevano dato un ambiente differente, e lui era diventato un cane piuttosto simile a un lupo, ma che era un cane, e non un lupo.

Nessuno ha raccontato le aspre e ghiacciate terre del Nord come Jack London, che sulle sponde del fiume Mackenzie, là dove la natura si abbatte meravigliosa e feroce su ogni essere vivente, ha ambientato l’avventura di Zanna Bianca, una delle più intense e memorabili narrazioni della letteratura americana. Una storia che guarda alle profondità dell’animo umano attraverso lo sguardo fiero di un lupo con un quarto di sangue di cane, un animale allo stesso tempo sensibile al richiamo della foresta e devoto all’uomo.

Sullo sfondo di un viaggio grandioso e disseminato di difficoltà, Zanna Bianca impara a riconoscere sia l’insensatezza della volubile legge del fuoco, amministrata dall’uomo, sia l’indifferenza della cieca e spietata azione della natura. Costretto a badare a se stesso, si lascia guidare dal viscerale istinto di attaccamento alla vita che contraddistingue ogni creatura, adattandosi a ogni situazione.

Ma ciò che rende universale questo romanzo è la trasformazione del lupo, che dopo aver stabilito nel corso degli anni una cruda formula di sopravvivenza, divorare o essere divorati, riconosce infine l’unico sentimento che può imporsi sull’ingiustizia e l’assurdità del mondo: l’amore.

In libreria per HarperCollins il 16 settembre – 12 euro, 304 pagine
Traduzione di Alessandra Roccato

JACK LONDON
(San Francisco 1876 – Glen Ellen 1916)

Figlio di un astrologo ambulante irlandese e di un’ereditiera dell’Ohio, dopo aver condotto un’adolescenza turbolenta ha studiato a Berkeley e intrapreso un’intensa attività politica, interessandosi all’ideologia socialista.
Come moltissimi americani del suo tempo, si è lanciato nella mitica corsa all’oro del Klondike, ottenendo con enormi sforzi dei miseri risultati.
Le intense e in parte tragiche esperienze maturate nel grande Nord, tuttavia, hanno fornito la linfa necessaria perché il suo talento letterario emergesse in tutta la sua forza. È stato un autore prolifico ed eclettico, capace di misurarsi con molti generi diversi, dai romanzi d’avventura come i suoi capolavori, Il richiamo della foresta (1903) e Zanna bianca (1906), al distopico Il tallone di ferro (1908), all’autobiografico Martin Eden (1908), al post-apocalittico La peste scarlatta (1912).

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