La Germania di Bismarck

La Germania di Bismarck nel nuovo articolo di storia scritto da Giacomo Sabbadini

La Germania di Bismarck

Nel 1871, quando la Prussia vinse la guerra  contro la Francia, fu proclamato l’Impero tedesco, ovvero il Secondo Reich. La Germania però, non era un paese imperiale al pari della Gran Bretagna e della Francia, infatti le sue colonie nel 1914 erano ben poca cosa Tuttavia non era tanto questo elemento a connotare la sua potenza nello scenario europeo e mondiale. Erano piuttosto il ritmo impetuoso del suo sviluppo economico e sociale, il prestigio dovuto alle crescenti attività culturali e scientifiche, la salda organizzazione statale e soprattutto la forza delle sue armi gli elementi esaltanti la dimensione imperiale della nuova Germania. Bismarck, il cancelliere che aveva costruito l’unificazione nazionale, guidò ancora la Germania per un ventennio (dal 1870 al 1890), ma alcune carte decisive per gli equilibri del Reich erano già stati giocati in precedenza, come ad esempio  il contrasto tra Corona e Parlamento. La nuova Germania mantenne una struttura federale  formata da 25 Stati, i quali avevano un proprio governo, proprie assemblee legislative e propri apparati amministrativi, ma la direzione della politica interna ed esterna erano affidate al cancelliere del Reich e ai suoi ministri. Il potere legislativo era invece affidato al Parlamento, il Reichstag(rinnovando il nome della  vecchia Dieta medievale) e al Consiglio federale, il Bundesrat. Ma il vero potere reale era concentrato nelle mani della Cancelleria, che doveva rispondere unicamente al Kaiser e ciò dava  concretamente alla Germania un regime politico autoritario, con qualche elemento apparentemente democratico. Nel 1866 Bismarck aveva fatto passare una legge sanatoria dell’operato del governo, con la quale veniva riconosciuto al Parlamento il diritto ad esprimersi e a collaborare con il governo era riconosciuto. Si trattava allora di un governo forte, che poteva procedere senza un’approvazione parlamentare, ma che doveva comunque rispondere della legalità dei suoi atti e pertanto non sfuggiva totalmente all’approvazione  parlamentare. Bismarck in questo modo dava così una soddisfazione formale ai parlamentari, ponendosi non come rappresentante della Corona come era costume nell’ancien régime, bensì come rappresentante dello Stato, dei suoi interessi e dei suoi diritti, configurando così un punto di incontro tra Corona, esercito, burocrazia e i circoli culturali. In termini di dottrina il regime non era né un ritorno all’asolutismo né un cedimento parlamentaristico. La linea seguita da Bismarck non era nemmeno la versione costituzionale e parlamentaristica di un regime, ma riconosceva e accettava  una rappresentanza nazionale . Dopo l’unificazione del paese il cancelliere si prefisse un duplice obbiettivo: in politica estera l’affermazione dell’ impero tedesco come grande potenza; in politica interna quello di eliminare i nemici dello stato, ovvero i cattolici e i socialisti. Contro i cattolici, organizzati nel partito del Zentrum, fu avviata la Kulturkampf, ovvero la “lotta per la cultura”, dal 1871 al 1878, abolendo alcuni ordini religiosi, imponendo un controllo statale sulle scuole cattoliche e sulla formazione dei sacerdoti. Il bilancio finale fu però negativo. La reazione cattolica fu più forte di quanto ci si aspettava e nelle elezioni successive il Zentrum raddoppiò i voti per il Reichstag.

 Nonostante ciò, Bismarck riuscì ad accordarsi ugualmente con il nuovo Papa Pio IX. Entro il 1886 il Kulturkampf fu abbandonato e fu anche la fine dell’iniziale appoggio che in nazionl-liberali avevano offerto a Bismarck, il quale si trovò costretto a fare conto solo sui conservatori. Infelice fu anche l’esito della battaglia contro i i sindacati e i socialisti, che occupò tutti gli anni ’80. In questo settore Bismarck si mosse subito con grande vigore, limitando la libertà di stampa, vietando l’organizzazione del Partito Socialista e mettendo fuori legge le organizzazioni operaie. Con questi provvedimenti restrittivi della libertà di stampa e proibitivi nacque lo Stato sociale, quello che poi gli inglesi chiameranno Welfare State. Non meno dei cattolici i socialisti ne uscirono rafforzati e, mentre lo scontro promosso dal Cancelliere di fero si attenuava, i loro voti al Reichstag triplicarono. In fondo fu la politica estera il vero regno di Bismarch, in cui riportò costanti  successi in tutto il periodo che va  dall’unificazione tedesca fino al termine della sua carriera.

Egli aveva il beneficio di operare in condizioni di grande vantaggio, in cui i principali strumenti della potenza prima prussiana e poi tedesca( l’esercito, l’apparato statale, il trono ecc.) non dipendevano dallo scontro con forze interne, perché avevano proprie ed autonome ragioni di autosufficienza. Neppure la grande flotta inglese, che era il cuore della potenza britannica, poteva operare in una tale condizione di rendimento. Quando nel 1888 salì al trono  il nuovo imperatore Guglielmo II, subito dimostrò il suo disaccordo con il Cancelliere di ferro, del quale disapprovava la linea conservatrice e la politica interna e soprattutto la prudenza nella politica estera. Così quando nel marzo 1890 rassegnò le sue dimissioni, per la Germania fu una svolta epocale. I suoi successori cercarono una maggior compattezza del governo, facendo concessioni, abolendo le leggi più autoritarie e cancellando la politica protezionista bismarckiana.

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