Intervista all’autore Marcello Mancini in merito al suo libro di poesie “Redskins…e altre visioni”!
TRAMA
Visioni e immagini catturate da un pensiero talvolta cosciente e talvolta onirico e lasciato scorrere come il ritmo delle correnti. Sguardi rivolti alla terra, al cielo e alle umane vicissitudini navigando a vista alternatamente sul reale e sull’immaginario. Alcune delle liriche componenti la silloge scaturiscono dalla volontà di rendere un piccolo personale omaggio alle popolazioni dei Nativi americani che hanno da sempre affascinato l’autore. Una cultura antica ormai quasi completamente dimenticata che dal rispetto e dall’equilibrio con l’ambiente costruiva la sua essenza e dalla quale, soprattutto ai nostri giorni, si dovrebbe trarre insegnamento.
INTERVISTA
Ciao e benvenuto su onlybookslover.it.
- Parlaci del tuo libro “REDSKINS E ALTRE VISIONI”!
Come è arrivata l’idea?
Credo che parlare di un libro di poesie sia cosa piuttosto complessa, ma che, semplificando, si può ridurre ad una parola: esporsi. E’ mia opinione che la poesia sia una forma “autobiografica” che scava nelle emozioni profonde più che nella vita vissuta, ma anche quest’ultima ovviamente incide ed appare tra le righe.
Per quanto riguarda il libro, la cultura dei Nativi americani mi ha da sempre affascinato e quando ero un ragazzo stavo dalla parte degli Indiani senza alcuna esitazione.
- Ci spieghi come è nato il titolo? È arrivato prima o dopo la stesura?
Il titolo è nato dopo la stesura e l’idea dello stesso e del libro è scaturita in particolare dopo aver scritto la poesia di apertura “Redskins (un omaggio a John Trudell)”. Conoscevo la poetica e le canzoni di John Trudell e la sua storia (si può trovare qualche informazione, scarna, su Wikipedia, con qualche dato in più sulla pagina in inglese, ma anche nel sito a lui dedicato). I drammatici eventi che lo avevano colpito mi avevano molto scosso. Una persona qualsiasi avrebbe reagito a questi eventi probabilmente con la violenza e con la rabbia. John, invece, ha costruito il suo percorso successivo attraverso la poesia, la musica ed un messaggio di comprensione e fratellanza a sostegno di tutta la popolazione dei Nativi americani e non solo. Ho avuto la fortuna di incontrarlo prima che morisse, durante un concerto estivo in terra bresciana, all’interno del parco di una villa. Dopo mezz’ora di concerto si scatenò un temporale furibondo che semidistrusse il palco. L’organizzazione del concerto ci fece rifugiare in un salone della villa stessa e John si fermò a dialogare con il pubblico presente. Diceva che riteneva giusto che passassimo un po’ di tempo insieme, visto che il concerto era purtroppo saltato. Ha lasciato parole intrise di delicatezza e di serenità, nonostante i suoi occhi conservassero, nel fondo, un velo di tristezza. Conservo ancora gelosamente una foto fatta insieme a lui di quella sera. Ho pensato quindi di dedicare alcune delle mie poesie, ed il libro, a questa affascinante cultura, purtroppo quasi dimenticata.
- Che messaggio volevi trasmettere al lettore?
Non ho un particolare messaggio da trasmettere, la mia persona non riveste una così grande importanza tale da essere presa a modello. Vorrei, se possibile, trasmettere emozioni. Viviamo in un mondo che, nel bene e nel male, vive più di apparenza che di sostanza. E le emozioni vissute od esternate, in particolare per il genere maschile, vengono interpretate come segno di debolezza. Invece credo che far fluire le proprie emozioni, far emergere le proprie ansie o le paure, così come le gioie sia un modo per crescere armoniosamente. Sicuramente non è facile.
E poi il sognare ed in particolare le visioni che altro non sono se non il sognare da svegli. Ritengo che sognare sia assolutamente necessario e che non debba essere relegato esclusivamente alla fase giovanile della vita. Quando si smette di sognare si inizia a smettere di vivere.
La lettura è sogno e chi scrive è un piccolo costruttore di sogni.
E nelle visioni e nei sogni risulta evidente il riferimento dell’immagine della copertina.
- Questo è il tuo primo libro?
Questo non è il mio primo libro. Ho pubblicato una silloge di poesie intitolata “Di amori e di tempeste” edita da Robin Edizioni.
- C’è un filo conduttore che unisce tutte le poesie?
Il libro non segue un filo conduttore. Non raccolgo le poesie seguendo una tematica. Ci sono dei fili conduttori che uniscono la scrittura di tutte le mie poesie, quelle pubblicate e quelle che ancora non lo sono. Tutte sono state scritte ascoltando musica. Sono un amante del rock, ma ascolto di tutto classica, jazz, blues, pop. Quando scrivo mi metto le cuffie e parte la stesura. Altra caratteristica è che quando inizio a scrivere una poesia, la finisco. Non ho mai lasciato interrotta un poesia per poi riprenderla. Vero è che poi, le riprendo in visione, le rileggo quasi giornalmente per qualche centinaio di volte, modificando, sostituendo e cancellando. Qualche volta rimangono così come sono state scritte di prima mano. Potrei dire che ritengo un poesia completata quando l’ho letta e riletta così tante volte che “mi viene quasi a nausea”. Si tratta, come accennato precedentemente, di emozioni vissute personalmente o indirettamente. Ma anche frasi sentite che mi colpiscono o semplici sogni ad occhi aperti.
- Stai parlando a un lettore che ancora non ti conosce, perché dovrebbe leggerti?
Trovo grande difficoltà a dare risposta alla tua ultima domanda, anche perché la poesia soffre di mancanza di lettori, quantitativamente parlando. Come ti ho detto prima ritengo che ci sia la necessità di abbandonarsi alle emozioni, almeno per qualche momento. Mi piacerebbe che le emozioni che ho lasciato nell’inchiostro potessero in qualche modo trasferirsi a chi legge. Ma questo è solo il mio sogno. La risposta la può dare solo il lettore.
Sono Arianna Venturino creatrice del blog onlybookslover.it
Promuovo autori e realizzo grafiche editoriali.