Il filo conduttore di “Posso abbracciarti?”

Il filo conduttore di “Posso abbracciarti?” la raccolta poetica di Francesco Nugnes.


TRAMA

Avremmo mai pensato di chiedere a qualcuno: «Posso abbracciarti?» Il solo domandarlo interpone una distanza. Distanza nei luoghi di un Paese malinconico e mai così solitario, in un anno di promontori in cui ostenta sicurezza ma rivela fragilità. Distanza tra natura e uomo, cornice e firma nell’angolo, all’interno di un quadro dove una foglia, alunna della vita, volteggia e si posa per giacere per sempre nell’autunno della nostra esistenza. Questa silloge è dedicata ai gesti che ci emozionano e che più ci sono mancati. La poesia invita il lettore a un abbraccio clandestino, che lo tiene sospeso tra tentazione e speranza.

IL FILO CONDUTTORE

A tal proposito mi piace citare parte della prefazione di Lucia Del Vecchio, che trovo splendida nel suo significato.

Avete mai provato a chierderVi il permesso di fare qualcosa? Si, quando dico di chiedervi il permesso, intendo proprio a voi stessi. È vero, è così difficile chiedersi di fare qualcosa quando la vita pare incastrata come in un meccanismo inevitabile che ci porta ad essere schiavi dei suoi tempi, figli dell’abitudine e della monotonia fino a diventare avanzi dell’insoddisfazione. Come possiamo cambiare ciò che non ci piace e che ci preclude ogni pertugio di rinascita e quindi uno slancio verso la ricrescita?

In un mare aperto di insicurezze le parole chiave sono sempre le stesse: Coraggio, Amore, Condivisione, Volontà, Resistenza e Coscienza. 

Quante volte abbiamo fatto fatica a dimostrare l’Amore, attraverso le sue mille sfaccettature, l’amore ha sempre ragione se gli concedi il permesso di essere vero, e la verità si cela dietro se stessa e non dietro una bugia. Francesco questo lo dimostra, il titolo lo espone a grandi vedute. Ogni qual volta decidiamo di tendere la mano verso qualcuno o qualcosa lo facciamo in punta di piedi, esitando, ma invadendo, contemporaneamente, un confine che non è più la nostra zona di confort, rischiando di sgambettare, ma sperando di innaffiare un terreno fertile da cui può nascere un fiore da questo mio amore per Te, lo intonava, qualche tempo fa anche Rino Gaetano. 

Non sempre la verità, o per lo meno, la sua necessità di manifestarsi lo fa in punta di piedi, e questo la pandemia ce lo ha insegnato bene. I meccanismi del mondo hanno subito un arresto di tutti quegli ingranaggi scontati reduci da leggi di mercato e di politica assetati di burocrazia e convenevoli. Il mondo, tanto quanto noi esseri umani, ha deciso di dedicarsi del tempo e di lasciarci spettatori ostaggi di una clessidra fatta di sabbia umida che a fatica contava i passi, giorno dopo giorno, come si fa quando bloccati nelle sabbie mobili, si risale e man mano le ginocchia sommerse le accarezza di nuovo il sole. 

Covid per me è un acronimo che significa “Com’è vivere dentro?”

Com’è vivere dentro una realtà che non è la tua, a raccontarti ogni giorno che non sai quando sarà l’ultimo, che andrà tutto bene, ma in fondo questo lo speri, eppure non ne hai la certezza? Com’è vivere a chilometri di distanza dalla persona che ami e non poterla abbracciare per mesi? Perché l’abbraccio, lo dice Francesco è esserci! Essere faro nella vita di qualcuno è una salvezza, è un salvagente che non ti chiede il permesso di afferrarlo, si affianca a te e tu ti lasci salvare. Non tutti hanno la consapevolezza di essere luci vive, fuochi che divampano dentro e che hanno bisogno di coraggio per essere alimentati. E allora ricordiamoci sempre, e non dimentichiamoci mai, che saremo sempre qualcuno che dovrà essere salvato e che, in qualche tempo della vita, dovrà pronunciare quel fatidico “Posso abbracciarti?” per salvare la vita di qualche altro. E poi potiamo i rami secchi della nostra fantasia, perché le arterie del nostro sentire non restino ostruite da quanto di bello ci possa capitare nella semplice casualità della vita. La quotidianità, quella sana, fa parte di noi e abbiamo imparato che esserne privi ci confonde e ci schiaccia nella morsa dell’automatismo, della sofferenza e del nuovo senso di imparare a farne a meno. 

Non imparate a fare a meno, imparate piuttosto a chiudere i cerchi, salpare i venti con i compagni della vostra vita. Emozionatevi davanti alla natura nelle sue quotidiane manifestazioni, ascoltatela, udite il suo richiamo, non vergognatevi se amate qualcuno che non potrete mai avere, se avete sbagliato ad innamorarvi del vostro migliore amico o della vostra migliore amica, che siate rispettivamente uomini o donne, non lasciate nulla di intentato nella vostra vita.

Infine, invitate sempre, a ballare la vostra anima, anche se non ha indossato l’abito giusto, e ascoltate il suo richiamo, l’abbraccio delle arti concedetelo sempre, che sia in solitaria o in condivisione, quello che siamo, in fondo è sempre rimasto in quel cassetto, dove abbiamo riposto le scritture, i testi delle canzoni, i bozzetti che pensiamo non siano niente, e invece sono tutto quello che chi vuole esserci per noi, capirà. Ciascuno di noi ha qualcun altro, che per questa stessa ragione, lo sta aspettando, in qualche parte del mondo. 

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