Antigone tra le leggi divine ed umane

Nel primo articolo di “Storicamente donna” Mara Carlesi ci parla di Antigone tra le leggi divine ed umane


“Non morire anche tu con me, e non appropriarti

Di ciò che non hai fatto. Basterò io, a morire.”
[Antigone, Sofocle, traduzione R.Cantarella]

La tragedia si apre con il discorso di Antigone a sua sorella, Ismene, alla quale spiega che è decisa a rendere degna sepoltura a loro fratello, Polinice, anche andando contro all’editto, emanato da Creonte, che vieta di compiere i riti funebri per il corpo dell’ uomo, traditore della patria.
Antigone domanda alla sorella se vuole divenire sua compagna. Ismene inorridisce, due donne sole, come loro che stanno ancora scontando i peccati del padre Edipo, non dovrebbero inimicarsi la popolazione e la giustizia umana. Antigone deride il timore della sorella. Agirà da sola, consapevole che le conseguenze del suo gesto la condurranno ad una morte prematura.
Antigone è destinata, dalla sua inflessibilità, a contrapporsi a tutti gli altri. Anche l’ ultima del suo sangue, Ismene, è costretta ad abbandonarla.

“Se così hai deciso, va: certo, tu sei davvero dissennata,
ma giustamente cara ai tuoi cari.”
[Antigone, Sofocle, vv 98-99, traduzione R.Cantarella]

La narrazione è costruita su una seria di opposizioni, necessarie al fine dell’esistenza umana.
Creonte, zio di Antigone e nuovo tiranno di Tebe dall’ esilio di Edipo, vive secondo il principio che ogni affetto debba essere subordinato alla patria, per questo condanna il cadavere di Polinice, suo nipote e traditore, a rimanere vittima della fame dei rapaci.
Di fronte al reggente viene portata la nipote, in catene, scoperta nell’ atto di compiere, nuovamente, i riti funebri sul corpo di Polinice. Ella è rea confessa, e questo suo doppio atto di coraggio viene scambiata dalla guardia, che l’ ha colta sul fatto, come un atto di stupidità femminile, poiché egli è un pavido, tanto da gioire di aver trovato la colpevole temendo di essere il capro espiatorio delle ire del tiranno.

“Infatti trovarsi fuori dai guai è dolcissimo, ma trarre nella sventura gli amici è doloroso; d’ altronde, è naturale che io valuti tutto ciò meno della mia salvezza.”
[Antigone, Sofocle, vv 429-31, traduzione R.Cantarella]

Per Antigone è tutto il contrario. Onorare il fratello e difenderne il corpo dallo scempio degli animali viene prima della sua stessa incolumità. Il personaggio di Creonte è un connubio tra violenza ed ottusità; e il suo animo basso si rivela come simbolo dell’ uomo nuovo, vitale, fiero del proprio ingegno e della potenza, a lui derivata, dall’ abilità politica. E’ un uomo concreto, sprezzante delle tradizioni e della religione.
In Antigone, invece, risuona la sublime grandezza che nasce dal voto di morte di chi venera, sopra ogni altra cosa, la fede dell’ antica ed eterna moralità, la grandezza di chi si riconosce inserito in un ordine divino, che supera le umane trame, la disperata grandezza che accetta di annullarsi.

“Guardatemi, cittadini della mia terra patria,
all’ ultimo cammino
muovere, e vedere
l’ ultima luce del sole,
e non più altra volta: ma Ade,
che tutti addormenta, viva mi conduce
d’ Acheronte alla riva,
senza che io abbia
sorte d’ imenei, senza che mai
alle mie nozze l’ inno risuoni:
ma ad Acheronte andrò sposa.”
[Antigone, Sofocle, vv 806-16, traduzione R.Cantarella]

Il canto di addio di Antigone, che viene portata verso una morte innaturale e prematura, è intessuto di continue allusioni alle sue nozze mancate

“Incompianta, senza amici, senza nozze,
misera sono condotta alla via che mi è pronta:
non più mi sarà concesso, infelice, vedere
il sacro occhio di questa luce;
e la morte mia illacrimata
nessuno dei miei cari lamenta.”
[Antigone, Sofocle, vv 876-82, traduzione R.Cantarella]

Tutto il destino, della sventurata figlia di Edipo, viene svolgendosi come sorte già da tempo fissata, che fa di Antigone una creatura incompleta e perennemente divisa tra due mondi, tra due possibilità di essere. Donna e pure non donna, non tanto per la virile autonomia del suo gesto, quanto per la fatale esclusione dalla sfera femminile del matrimonio e della procreazione, ciò già evidente dal nome della protagonista, anti-goné, cioè esclusa dalla maternità.
Ella è compagna non di uomini né di defunti, non di vivi e non di morti, così come vuole la sorte della sua solitaria sepoltura da viva.
Sorella, infine, e figlia del medesimo uomo, uccisa lei viva dal fratello morto.

“Ma pure contro di lei
le Moire longeve mossero, o figlia.”
[Antigone, Sofocle, vv 986-7, traduzione R.Cantarella]

Il destino della fanciulla è compiuto. Nessuna forza ha saputo indirizzare a più mite sorte il fato di questa, nessun saggio consiglio ha distolto Creonte dal suo proposito.
Antigone, però, non esisterebbe, come personaggio e come esempio di ribellione, se non vi fosse il tiranno, Creonte, che viene quindi a divenire chiave della stessa vittima che lui condanna ad una morte sofferta, ignorando ciò che conseguirà alla sua scelta.

“CREONTE: Tutta la razza dei vati ama il danaro
TIRESIA: E quella dei tiranni ama i turpi guadagni.
CREONTE: Ma tu sai che stai parlando del tuo sovrano?
TIRESIA: Lo so: governi questa città avendola salvata per opera mia.”
[Antigone, Sofocle, vv 1051-55, traduzione R.Cantarella]

Fra Tiresia e Creonte sorge una violenta contesa. Il tiranno afferma il proprio potere assoluto, ribadendo di non voler dare sepoltura ad un traditore, mentre Tiresia afferma la superiorità della dote profetica.
L’ ottusità di Creonte costringe Tiresia a dire ciò che teneva rinchiuso nel suo animo: l’ ira degli dei, disgustati dai sacrifici di uccelli divoratori delle carni di Polinice, si abbatterà sulla casa di Creonte, egli dovrà scontare con la morte di un figlio l’ oltraggio al cadavere.

“CORIFERO: Quale dolore dei sovrani vieni a portare?
NUNZIO: Sono morti, e i vivi son colpevoli delle morti.
CORIFERO: E chi ha ucciso? Chi giace? Parla!
NUNZIO: Emone è morto: e non per mano di estranei cola il suo sangue.
CORIFERO: Per mano del padre, forse, o di sua propria?
NUNZIO: Fu lui stesso a colpirsi, irato per il delitto commesso dal padre
CORIFERO: Vate, hai compiuto dunque la tua parola.
[Antigone, Sofocle, vv 1172-78, traduzione R.Cantarella]

Mentre il popolo di Tebe viene informato della duplice suicidio di Antigone e di Emone, la regina Euridice esce dalla reggia, e domanda al nunzio di raccontarle ogni cosa. Ella rientra ammutolita, lasciando i presenti attanagliati dalla dolorosa ambiguità di quel silenzio.
Creonte, illuso per qualche istante di poter placare l’ ira divina, è ora impotente ed incapace di parlare.
Il mutismo di questi due personaggi è molto differente. Quello del tiranno è rotto da un pianto irrefrenabile, la colpa pesa su di lui. Mentre quello della regina è commentato dal suo stesso suicidio.

“Di molto, la prima delle felicità
È l’ essere saggi: non si deve commettere mai
Empietà verso gli dei. Le grandi parole,
che grandi colpi ripagano ai superbi,
con la vecchiaia
insegnano ad essere saggi.”
[Antigone, Sofocle, vv 1347-53, traduzione R.Cantarella]

La tragedia si chiude con il monito del coro, l’ unica vera felicità è la saggezza, e la sventura, dagli dei destinata, non offre scampo.


Antigone, cosciente di infrangere le leggi umane e rea confessa, cammina senza paura verso la morte. Ella è un eroina, al pari degli uomini che caddero per difendere Tebe.

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